“Io sono Sakine Cansiz!”.
Di Necibe Qeredaxi
Dal momento in cui gli esseri umani hanno preso coscienza della loro esistenza come volontà, si sono continuamente posti domande fondamentali, sempre alla ricerca delle risposte migliori e più soddisfacenti che diano un senso alla loro vita, sia personale che sociale. La domanda “Chi sono io?” è stata la domanda della maggior parte dei cercatori di verità, dei filosofi, dei profeti e dei leader dei movimenti sociali. “Chi sono io?” potrebbe essere una delle domande più importanti nella vita di ogni persona comune, indipendentemente dal colore, dall’etnia, dal genere, dalla religione, dalla lingua e dalla cultura. Questa domanda ha un significato ancora più profondo per gli individui e i gruppi sociali la cui identità, esistenza, cultura e storia vengono negate o, peggio, subiscono un genocidio fisico e culturale. Diventa un catalizzatore di azioni diverse rispetto ad altre.
Questo inizia a livello individuale, diventando una forza trainante, per interrogarsi su se stessi e gradualmente si trasforma in coscienza. In questo processo, le persone si cercano tra di loro con consapevolezza, per diventare un gruppo che ha la forza di autodifendersi. Così facendo, lavorano insieme per costruire qualcosa di nuovo e prefigurare una forma di vita diversa, che metta in scena la loro esistenza contro le forze che negano quest’ultima, sia come individui che come gruppi. Il successo di questo processo di domanda e risposta dipende dal livello di immersione degli individui nella loro memoria storica. Una memoria che, ad ogni cambiamento, conserva le radici della propria identità e si rinnova, rinascendo ogni giorno.
Questo processo ha bisogno anche di altre motivazioni: la consapevolezza dal profondo della memoria storica e sociale, il coraggio e la perseveranza nonostante gli ostacoli, la determinazione per i passi da fare, compreso il sacrificio di sé, la forza di lottare contro tutte le brutture e l’impegno con coloro che si sono cercati nei passi iniziali e si sono trovati nel cerchio di questa ricerca. Senza estendere ulteriormente questa introduzione, parlerò dei passi che indicano una tale nascita. Non solo una nascita fisica, ma il processo di nascita di una nuova identità, al di là dell’identità che l’ideologia e il sapere di chi detiene il potere hanno imposto nel corso della storia, soprattutto alle donne. Sono in gioco processi di rinascita e di costruzione di sé.
Una delle persone che ha dato un significato profondo a questo processo, dalla fase di autocoscienza fino all’età di 56 anni, è Sakine Cansiz, conosciuta come “Sara”. È nata il 12 febbraio 1958, in un freddo inverno, nel villaggio di Takhti Khalil a Dersim, nel Kurdistan settentrionale, 20 anni dopo il più grande genocidio del XX secolo (il genocidio di Dersim del 1938). I suoi genitori, la nonna e molti parenti erano sopravvissuti al genocidio di Dersim. In quelle campagne di sterminio da parte dello Stato turco, essere curdi e aleviti non era l’unico crimine – essere una donna nella società curda, intrappolata tra l’occupazione statale e le relazioni tribali, significava trovarsi in una situazione paradossale. Da un lato, erano un anello debole della sottomissione e dei molteplici strati di occupazione, dall’altro possedevano un’energia sempre pronta alla ribellione.
Sakine era la figlia maggiore della famiglia e aveva molte responsabilità domestiche. Sua madre era una donna ribelle, mentre suo padre era un uomo calmo e paziente. In generale, grazie all’influenza della cultura alevita, le donne erano rispettate in famiglia. Sakine è stata influenzata soprattutto dalla nonna. Nel primo volume del suo libro “Tutta la mia vita è stata una lotta”, Sakine Cansiz descrive la nonna in questo modo:
“Le caratteristiche di mia nonna hanno sempre attirato la mia attenzione, la ammiravo e osservavo tutti i suoi comportamenti… Non spegneva mai il fuoco. Di notte lo ricopriva di cenere e ricominciava a scoprirlo all’alba. Per lei era un peccato andare in un’altra casa per portare o dare il fuoco. Se qualcuno chiedeva il fuoco, si arrabbiava e gli consigliava di tenere il proprio fuoco sotto la cenere della sera prima… Per Eze (la nonna) la vita consisteva nel mantenere il fuoco, nel pregare durante le eclissi lunari e solari e nell’essere connessi alla terra”[1].
Il detto secondo cui la natura è la prima maestra dell’umanità si adatta perfettamente alla nonna di Sakine. Come si può non imparare da lei lo spirito patriottico e il legame con la terra e la società? Ogni giorno pregava rivolta al sole, dicendo:
“O angelo dell’alba, che hai creato la terra e il cielo
scrivi la buona sorte per noi, poveri e innocenti esseri umani
O Madre Fatima, o Hazrat Ali, Hassan e Hussein, prendete la spada
Sii uno scudo per i nostri giovani, proteggili e salvali… Mostra il tuo coraggio
Liberate il Kurdistan e Dersim. O Khizr, Grande Khizr”[2]
È probabile che si tratti dello stesso “Khizr Zine” che conosciamo dai racconti delle nostre nonne. Sakine ha frequentato la scuola elementare a Khozat e lì vi ha completato anche la scuola media. Sua sorella ricorda un momento importante di quel periodo che riguarda il loro padre, dicendo:
“A quel tempo nostra madre era in Germania. Nostro padre si svegliava presto, spazzolava i capelli di Ferida e Nesibe, poi Sakine ci preparava e ci mandava a scuola prima di andarci anche lei”.
Inizialmente conosceva solo il Dimli (Zazaki) perché era il dialetto che la sua famiglia parlava a casa. A scuola, Sakine ha imparato il turco attraverso il sistema educativo, poiché il curdo è stato vietato dalla fondazione della Repubblica turca fino ad oggi. Tuttavia, sua madre le diceva sempre: “Non vergognarti mai di essere curda”.
Nel 1968, quando il mondo si stava risvegliando con le rivolte studentesche e la rivoluzione del ’68, e i gruppi di sinistra stavano crescendo in Turchia e in Kurdistan, Sakine ha iniziato a interrogarsi su se stessa durante gli anni della scuola, a partire dalla questione della lingua. In seguito, ascoltando le storie del genocidio di Dersim dagli anziani, si è resa conto dell’oppressione subita dalla società curda. L’ascolto di questa oppressione ha accumulato in Sakine domande e ricerca di risposte, goccia a goccia, giorno dopo giorno. Sebbene gli anziani sussurrassero di questi eventi con paura, in quel silenzio terrificante cominciarono a emergere la sua curiosità per la conoscenza e il suo spirito avventuroso. Non si dice forse che “la libertà inizia nell’infanzia”[3]? Da quel momento in poi, la sua determinazione ha dimostrato che la paura degli anziani ha creato in lei il coraggio al posto del silenzio, la curiosità e la domanda invece del ritiro. Invece di essere una semplice osservatrice, si è gettata completamente nei conflitti e nelle domande, alla ricerca di risposte.
Riguardo alla prima esposizione di Sakine alla vita rivoluzionaria, Ali Haydar Kaytan (il compagno Fuad), che in seguito divenne uno dei membri fondatori del PKK, racconta:
“Era il 1974, a Dersim la loro casa era nel quartiere di Dag (Montagna). C’era una grande casa accanto alla loro. Noi stavamo spesso lì, ma di tanto in tanto andavamo a visitare la casa dello studente vicino alla casa della compagna Sara. È così che quei compagni hanno influenzato la compagna Sara”.
Suo fratello Metin Cansiz descrive quei momenti dicendo:
“Sakine era attratta soprattutto dalla sinistra. Partecipava alle loro marce e manifestazioni. Faceva domande, ma non è mai diventata membro di un gruppo ideologico. Dopo aver conosciuto i rivoluzionari del Kurdistan, è diventata molto attiva”.
Suo cugino Nurcan Yildirim, che conosceva bene questo periodo della vita di Sakine, racconta: “
Era il 1974-1975, lei parlava del Kurdistan. In quella città ho sentito per la prima volta la parola ‘Kurdistan’ da Sara. Mi parlava dei suoi compagni di studi e c’era una foto di Leyla Qasim disegnata sul suo muro. Mi disse: ‘L’hanno disegnata e me l’hanno regalata’”.
I suoi compagni di studi (che erano il primo gruppo di rivoluzionari del Kurdistan) sapevano che le sue tendenze di liberazione come donna attiravano la loro attenzione, e vedevano l’ammirazione di Sakine per Leyla Qasim.
Nel primo volume delle sue memorie, Sakine Cansiz scrive:
“L’ispirazione arrivata dal lavoro politico e rivoluzionario, mi ha messo su una strada che ha cambiato tutta la mia vita. Conoscevo diversi uomini che vivevano vicino a casa nostra; il loro stile di vita, le loro interazioni e il loro atteggiamento verso i valori mi hanno influenzato, e ho visto in loro la fiaccola della libertà di Dersim”.
Dopo il colpo di Stato militare del 1971 in Turchia, Sakine si è legata alla gioventù rivoluzionaria e si è unita al movimento rivoluzionario di Elazığ, nel Kurdistan settentrionale. Riguardo ai suoi interessi, dice:
“Ho letto molti libri, che mi hanno portato gioia e apprendimento. C’erano discussioni ideologiche e coloro che difendevano queste ideologie non erano persone comuni. Avevano personalità influenti e creavano entusiasmo nell’ambiente circostante. All’inizio tutti li prendevano in giro, chiamandoli 4-5 nazionalisti curdi ribelli. In seguito, il loro nome cambiò in Rivoluzionari del Kurdistan e furono chiamati Apoci[4]”.
Sakine ha partecipato attivamente ed è stata presente al primo incontro rivoluzionario a Dersim alla fine del 1976.
Sakine si è sempre scontrata con atteggiamenti degradanti, impositivi e tradizionali. Era una donna che si ribellava ai costumi e alle tradizioni. L’attivismo di Sakine faceva arrabbiare sua madre. Le due litigavano sempre. A proposito della personalità della madre, Sakine dice:
“Se da un lato mi ha portato a sviluppare una personalità ribelle, dall’altro mi ha insegnato a combattere! Le devo molto per questo”.
Poiché dava un senso a tutto ciò che accadeva intorno a lei, fin dalla gioventù cercava di comprendere le sue relazioni, invece di tagliarle. Questa fu la caratteristica che attirò fin dall’inizio l’attenzione del primo gruppo di rivoluzionari, e così si giustifica il titolo del suo libro di memorie in tre volumi: “Tutta la mia vita è stata una lotta!”.
Nell’inverno 1976-1977, si tenne a Dersim la prima riunione allargata dei rivoluzionari del Kurdistan. Per la prima volta, sentì la frase “Il Kurdistan è colonizzato” da Abdullah Öcalan, il leader del gruppo, in una riunione che inizialmente contava 60 partecipanti, nella casa che chiamavano “Palazzo Bianco” a Dersim perché era dipinta di bianco. Per la prima volta, ha conosciuto a fondo i conflitti nazionali e di classe e ha intrapreso un lungo viaggio che, come dice lei stessa, “Tutta la mia vita è stata una lotta!”. Si impegnò per garantire alle donne un ruolo nella lotta di liberazione nazionale e vi partecipò attivamente. Per questo, fu la prima donna del movimento a organizzare le donne ovunque andasse.
In questo periodo, Sakine Cansiz sente di non poter più continuare a vivere come una donna comune e cerca un’alternativa che le permetta di muoversi più liberamente nella lotta rivoluzionaria. Sakine voleva diventare una rivoluzionaria e vedeva la soluzione nell’uscire di casa, cercando e trovando una scusa, che era il matrimonio. Questa strada era una scusa e un metodo per molti rivoluzionari dell’epoca, perché lasciare la casa non era facile per le donne. Sakine disse a sua madre e alla sua famiglia:
“Amo Baki Polat, mio cugino. Prima ha chiesto di me e voi non avete accettato. È un rivoluzionario e io vado con lui; non impedirà le mie attività rivoluzionarie”.
In seguito, sposò Baki e andò a Smirne(una città turca). Tuttavia, Sakine aveva già lasciato casa e realizzato parte del suo sogno: non si era impegnata nella vita matrimoniale perché i suoi obiettivi erano altri. Per mantenersi lavorava in una fabbrica di cioccolato e organizzava le donne nella fabbrica, in particolare le lavoratrici immigrate dai Paesi dell’Europa orientale.
Dopo i conflitti con la famiglia, in particolare con la madre, il secondo conflitto di Sakine è iniziato con Baki dopo il matrimonio. Da un lato, Baki era un membro di “Liberazione del popolo” che non vedeva il Kurdistan come colonizzato; dall’altro, Baki Polat voleva che Sakine fosse una moglie tradizionale impegnata unicamente nella vita familiare, cosa impossibile per Sakine. Nella fabbrica in cui lavorava, Sakine organizzò donne e giovani, provocando il licenziamento suo e di molte altre persone. Le operaie iniziarono a manifestare e a scioperare. Sakine è stata arrestata perché portava uno striscione che recitava. “Il Kurdistan è colonizzato”. Per questi sforzi, Sakine è stata portata in tribunale, dove ha gridato “Abbasso il colonizzatore”. Non si accontentava di gridare slogan come “Pane, lavoro e libertà”, perché credeva che in un Paese e in una società occupati, dove l’identità, la storia e la cultura erano negate, il lavoro e il pane da soli non significassero nulla. Vedeva il vero socialismo nella fine della colonizzazione e nella lotta comune dei popoli, e per questo organizzava le lavoratrici senza discriminazioni.
Chi conosce un po’ la vita di Sakine sa che si è sempre assunta compiti difficili. Quando tornò in Kurdistan, iniziò a organizzare le donne a Çewlig (Bingöl), una delle regioni più conservatrici del Kurdistan settentrionale. In un luogo in cui le persone avevano paura anche solo di dire di essere curde, ha creato diversi gruppi di donne di 3 o 5 persone e ha dato loro il coraggio di organizzarsi. Nonostante le barriere familiari e sociali, le donne si sono riunite intorno agli slogan del primo gruppo rivoluzionario. Sakine ha avuto una grande influenza su di loro.
A proposito di questo periodo, Sakine dice:
“Dicevamo che le donne dovevano partecipare alla lotta di liberazione nazionale, perché così potevano diventare libere e fare passi verso la vera libertà”.
Le sue prime lezioni per le donne riguardavano gli effetti del sistema capitalistico sulle donne, e diceva sempre: “Le donne sono viste come merci”. Inizialmente le donne non si sentivano a proprio agio con questo termine, ma lei spiegava loro con pazienza cosa intendesse per mercificazione delle donne. La lotta di Sakine Cansiz tra le donne di Çewlig, Xarpêt (Elazığ) e di altre regioni ha ispirato i rivoluzionari del Kurdistan. Si è organizzata non solo tra le donne, ma in tutti i settori della società. Creò fiducia, convinzione e speranza in un popolo che aveva affrontato un tentativo di genocidio.
I frutti del suo lavoro in questi ultimi anni avevano raggiunto il livello di iniziare una nuova fase di lotta. Fu la fase di avvicinamento alla costituzione di un partito rivoluzionario che rispondesse ai bisogni di libertà e indipendenza, basato sulla frase “il Kurdistan è colonizzato”. Nell‘ultima settimana di novembre del 1978, nel villaggio di Fis, nel distretto di Lice di Amed (Diyarbakır), si tenne il primo congresso del movimento di liberazione delKurdistan. Sakine Cansiz (Sara), insieme a Kesire Yildirim (Fatma), furono le prime donne a partecipare al congresso di fondazione del PKK. Era molto felice perché si stavano preparando per una fase storica e stavano riempiendo un grande vuoto in Kurdistan.
Mentre il manifesto e il programma venivano redatti, Sakine si stava preparando per la lotta delle donne, e aveva persino progettato di chiamarla “Gruppo delle ragazze”[5], composto da tutti i quadri donne del partito e le sue sostenitrici. Fecero ricerche sulla lotta delle donne e si prepararono anche a scrivere un opuscolo. In seguito, Sakine viaggiò in tutto il Kurdistan, seguendo e analizzando le condizioni delle donne.
Nel Primo Manifesto del movimento, c’era un’analisi delle donne che affermava:
“Il destino delle donne è come il destino del popolo curdo. Le donne devono creare una propria organizzazione di massa. Se l’obiettivo è costruire un Kurdistan democratico, è necessario eliminare le pressioni tribali e il pensiero della “donna-merce” che poteva essere comprata dagli uomini. I colonizzatori vogliono influenzare le diverse classi sociali, ma le donne sono il segmento della società che non è facilmente influenzabile. Le donne sono state schiavizzate fin dall’epoca della società classista”.
Nel 1979, dopo il congresso, Sakine Cansız fu incaricata di organizzare le donne di Elazığ (Kharput) e di preparare l’istruzione delle donne. Seguendo le linee guida dell’organizzazione, le donne iniziarono a studiare il diritto romano e la storia delle donne in tutto il mondo. A partire dal 1979 hanno iniziato questa lotta per costruire le fondamenta del movimento delle donne. Una volta, ottanta donne si sono riunite a Dersim. In circostanze normali, un incontro del genere non sarebbe mai avvenuto, soprattutto perché le donne non potevano discutere dei loro problemi in presenza di uomini.
Lo Stato era a conoscenza di queste iniziative e conduceva operazioni contro i rivoluzionari e altri gruppi di sinistra e socialisti. A proposito di questo periodo, Sakine ha dichiarato:
“È meraviglioso combattere e vivere con odio contro il tuo nemico. Mi sono sempre detta che se la nostra esistenza li intimidisce, dovrò sempre essere come una maledizione per loro”.
Il 18 maggio 1979, in seguito a un colpo di Stato, Sakine e molti dei suoi compagni furono arrestati a Elazığ. In carcere, Sakine dimostrò una forte resistenza sia contro la tendenza prevalente ad arrendersi all’interno del movimento, sia contro le autorità statali. Lo Stato utilizzò vari metodi di tortura, tra cui l’impiccagione, l’elettro-shock, l’isolamento in celle fredde e buie, l’obbligo di denudarsi, l’alimentazione forzata con escrementi, ecc. La sua resistenza ha stupito i funzionari del carcere. Si oppose con coraggio ai suoi aguzzini. Il famigerato carcere di Diyarbakır ospitava un noto torturatore, Esat Oktay, che si divertiva particolarmente a torturare Sakine e desiderava sentirla urlare sotto tortura, ma lei non lo fece mai.
Sakine ha descritto le condizioni di detenzione paragonandole ai campi nazisti, dicendo:
“L’umanità nei campi nazisti era un cadavere silenzioso e senza vergogna, il corpo nudo ed esposto. La speranza veniva uccisa in quegli occhi vuoti di senso. Quei cadaveri si muovevano solo quando arrivava il loro turno di morte. Se ci si chiede se un posto del genere esiste sulla Terra, non c’è bisogno di guardare lontano: c’è Amed (Diyarbakır)”.
Quando Esat Oktay la affrontò dicendo: “Devi accettare ciò che è stato detto, molti sono venuti e andati, sai chi sono?”. Sakine ha risposto: “Sai chi sono? Sono una rivoluzionaria, evidentemente non conosci i rivoluzionari” – e quando lui l’ha attaccata, Sakine gli ha sputato in faccia.
Permettetemi di tradurre e adattare questo racconto sulla resistenza e sulle esperienze della prigioniera politica curda Sakine Cansız nelle carceri turche.
L’episodio dello sputo in faccia ad Asad Oktay è diventato una storia leggendaria tramandata sia all’interno che all’esterno del carcere. La posizione di Sakine l’ha portata a essere riconosciuta come simbolo di resistenza in tutto il reparto femminile e nell’intero carcere. La resistenza di Sakine e delle sue compagne durante lo sciopero della fame nel carcere di Amed divenne una rinascita per le donne curde e per il popolo curdo in particolare.
Il suo coraggio e la sua audacia in carcere hanno impressionato tutte le detenute, sia quelle politiche che quelle non politiche. Un giorno, attraverso un buco nel muro del loro reparto, scoprirono che una guardia carceraria spiava regolarmente le donne. Quando le detenute lo riferirono a Sakine, lei tese un’imboscata e trafisse l’occhio della guardia con un ago da maglia. La guardia ha urlato di dolore e Sakine è stata successivamente sottoposta a tortura per questo atto di sfida.
Gültan Kışanak, il sindaco HDP di Amed che all’epoca si trovava nella stessa prigione, ha descritto così Sakine:
“Manteneva rapporti con tutti i prigionieri. Si prendeva cura di quelli che venivano torturati, massaggiando i loro corpi contusi per evitare coaguli di sangue dopo che erano stati picchiati con bastoni e cavi”.
A causa dei suoi atti di resistenza contro l’amministrazione carceraria e le guardie, Sakine Cansız fu trasferita alla prigione di Amasya. Lì, fu portata di fronte al direttore della prigione di nome Şükrü. Il loro confronto divenne un’aperta difesa della sua identità politica. Quando il direttore cercò di stabilire la sua autorità, dicendo “Io sono Şükrü, ho gestito questa prigione per così tanto tempo che qui non succede nulla senza il mio ordine”, Sakine rispose con aria di sfida:
“Io sono Sakine Cansız, una fondatrice del PKK. Sono qui ora e ho i miei principi! Non riconosco nient’altro”.
Mentre era lì, fece diversi tentativi di fuga, ma non ebbero successo a causa degli informatori. A causa di questi sforzi per liberarsi dalla cella che imprigionava il suo corpo, si guadagnò il soprannome di “Farfalla” dai suoi compagni di prigionia.
In risposta al colpo di stato del 12 settembre 1982, che mirava a spezzare la volontà ribelle delle persone, rimase solo una finestra di speranza: la resistenza dei prigionieri rivoluzionari. Coloro che hanno avuto un ruolo in questa resistenza hanno portato nuova vita a una società sull’orlo della morte. I rivoluzionari curdi hanno compreso due punti chiave: primo, che la libertà del Kurdistan come questione nazionale dipendeva in parte dal cambiamento della mentalità del sistema statale basato sul genocidio e sulla negazione, ma ancora più importante dal risveglio del popolo curdo stesso; e secondo, che la resistenza e la difesa dell’identità e dei valori di una società in questo movimento non erano limitati agli uomini: la partecipazione delle donne a questa resistenza ha aperto la strada a una grande trasformazione sociale.
La resistenza di Sakine Cansız ha aperto la strada alla libertà sia delle donne che della società. Da ciò è emerso lo slogan “Senza la libertà delle donne, la società non può essere libera”. Ciò che aveva indebolito la società curda non erano solo gli effetti della colonizzazione, ma anche la malattia sociale e il degrado che la colonizzazione aveva interiorizzato nell’identità curda.
Sakine è stata la prima donna nella storia della Turchia a resistere a un tale livello, diventando una figura esemplare di eroismo. Sakine non ha mai accettato le condizioni di una vita ordinaria e ha lottato costantemente contro tali circostanze, senza mai arrendersi. Ha trascorso gran parte della sua giovinezza imprigionata in varie prigioni (Elazığ, Malatya, Bursa, Amed e Çanakkale).
Nel 1991 è stata rilasciata. Dopo il suo rilascio, è andata all’ Accademia Mahsum Korkmaz nella valle della Bekaa in Libano e ha partecipato all’educazione ideologica guidata da A. Öcalan. Lì, ha partecipato alla prima conferenza dei prigionieri politici e in seguito ha svolto lavoro organizzativo in Palestina, Siria e Rojava.
Dopo questo periodo di formazione, Sakine ha chiesto di andare sulle montagne del Kurdistan. Öcalan ha accettato la sua proposta, credendo però che lui non potesse decidere per Sakine, perchè lei ha avuto un ruolo importante nella formazione del PKK. Anche le altre compagne e gli altri compagni hanno dovuto dare la loro opinione a riguardo. Quando la maggior parte delle compagne dell’accademia sostenne la decisione di Sakine di andare, Öcalan le disse: “Sara, hai vinto”. Sakine ne fu felicissima…
“Ero molto determinata e testarda: quando mi mettevo in testa qualcosa, la realizzavo sicuramente. Tutto ciò che volevo accadeva uno per uno. Ho visto la leadership, ho visto metà del Kurdistan, ho visto e sentito l’amore per la libertà delle persone. Mi sono detta che se fossi andata in montagna, e quindi il mio sogno di diventare una guerrigliera si fosse avverato, allora tutto sarebbe stato come desideravo”.
In seguito Sakine andò sulle montagne del Kurdistan con grande passione, partecipando ad attività e operazioni di guerriglia. Svolse un ruolo attivo e decisivo nei congressi e nelle conferenze del Movimento per la libertà delle donne del Kurdistan e del movimento in generale. Era anche una scrittrice potente, il che spinse Öcalan a suggerirle di scrivere la sua storia di vita e le sue memorie.
Nonostante le dure condizioni delle montagne del Kurdistan, manteneva una vita molto pulita e disciplinata. L’esercizio fisico era una delle sue passioni e abitudini quotidiane. Si svegliava presto la mattina e si esercitava in montagna, anche durante le nevicate, e raccoglieva erbe primaverili dagli altipiani. Amava scrivere le sue memorie, tenendo sempre il suo quaderno nella borsa, tirandolo fuori per scrivere ogni volta che ne aveva la possibilità.
Öcalan, nel descrivere il carattere di Sakine, non riusciva a nascondere il suo stupore e le disse:
“Sei una ragazza molto resiliente. Ti abbiamo fatto passare attraverso molte difficoltà, ma questo è stato certamente insignificante. Cosa possiamo fare? Sono le nostre lotte e i nostri combattimenti che ti hanno portato a questo livello… Puoi essere una personalità completa. Il tuo coraggio e il tuo sacrificio, cento volte più dei miei, ti hanno dato forza”.
Quando la prima organizzazione delle donne autonoma (Unione delle donne patriottiche del Kurdistan) fu fondata all’interno del movimento ad Hannover nel 1987, Sakine era in prigione. Nel secondo congresso tenutosi nel 1989, Sakine ha svolto un ruolo importante inviando una lettera di orientamento dalla prigione che è stata letta al congresso. L’argomento principale di quel congresso era l’autonomia delle donne (pratiche di organizzazione indipendenti e speciali) e come svilupparla. Dalle montagne del Kurdistan, sono state inviate al congresso foto di 50 guerrigliere sotto il comando della compagna Azime, creando grande entusiasmo tra le donne e presentando una nuova immagine per tutte. Il terzo congresso dell’Unione delle donne patriottiche del Kurdistan si è tenuto in Europa nell’agosto 1991, con circa 1.500 donne, delegate dei vari gruppi. Il congresso ha deciso di istituire un’istruzione autonoma per le donne in lingua curda, prendendo una posizione chiara e forte contro la pulizia etnica. Hanno anche deciso di pubblicare la rivista “Jina Serbilind” (Donna orgogliosa), che è diventata la prima rivista delle donne.
Dopo essere tornata sulle montagne del Kurdistan, Sakine Cansız rimase a Botan nel 1994. Quell’anno vide intensi combattimenti, fece parte dell’unità mobile, che era l’unità più combattiva e affrontò il maggior numero di battaglie. Nel 1995, fu deciso di tenere un congresso delle donne sulle montagne del Kurdistan. Sakine svolse un ruolo chiave nel comitato preparatorio per il primo congresso della Unione delle donne del Kurdistan per la libertà (YAJK). A Metina, nel villaggio di Beshiri, in una grande grotta storica chiamata simbolicamente “Tempio delle donne”, prepararono lo statuto, il programma e i resoconti del movimento. Il congresso includeva rappresentanti di tutte le regioni, con la partecipazione di 350 delegate donne. Fu la prima esperienza storica e il primo passo del movimento per la libertà delle donne curde sulle montagne del Kurdistan. Questo passo monumentale arrivò dopo aver reso le donne curde guerrigliere in un esercito delle donne. Era un esercito che avrebbe infranto tutte le disuguaglianze, frantumato il muro della paura, portato le donne fuori dalle loro case e condotte alla lotta. Oltre al suo aspetto militare, questo esercito ha sradicato fondamentalmente la mentalità conservatrice prevalente in Kurdistan e ha mostrato agli uomini i calori di base secondo i quali le donne volevano vivere. In tutti questi passaggi, Sakine è stata una pioniera della collettività. Ha capito profondamente che Öcalan aveva affrontato la contraddizione più profonda della storia e che il cambiamento democratico era impossibile senza questo approccio rivoluzionario radicale. Riguardo a questo passaggio, Sakine ha affermato:
“L’entrata delle donne nell’esercito non si è limitata a essere solo una forza armata. La creazione dell’esercito della libertà ha significato sviluppo ideologico e politico, azione, volontà e creazione di potere e moralità. Ha anche significato creare basi per l’unità con il popolo. Ha significato affrontare le principali richieste delle persone, organizzarsi collettivamente in base alle esigenze delle persone, creare un’organizzazione che avrebbe compreso tutto questo”.
Dopo aver acquisito una vasta esperienza pratica sulle montagne del Kurdistan, Sakine è tornata, con una vasta esperienza e basi teoriche, all’accademia di formazione dei quadri politici, dove erano necessarie nuove prospettive e analisi. Nel momento esatto in cui la Turchia e le forze internazionali stavano preparando una rete di cospirazione per espellere Öcalan dalla Siria, durante un incontro in Media TV con Abdullah Öcalan, Sakine e diverse compagne hanno annunciato il progetto di liberazione delle donne. Questa è considerata una delle fasi più fondamentali e importanti nella lotta del movimento per la liberazione delle donne curde, che si è verificata esattamente quando l’ideologia del movimento stava diventando sempre più insignificante a causa delle ondate di propaganda neoliberista a livello globale. Questa fase era stata formulata sia in teoria che in pratica nel corso di molti anni per rispondere alla domanda “come vivere?” e richiedeva una ridefinizione storica della relazione tra uomini e donne nella società curda e oltre. Il giornalista turco Maher Sayan, in un’intervista con Öcalan, ha descritto questa relazione come “fuoco e benzina”, riferendosi alla trasformazione da una tradizionale relazione padrone-schiavo tra un uomo dominante e una donna tradizionale, a una relazione libera. Secondo l’ideologia della liberazione delle donne, questa nuova relazione si basava su principi di welatparezî (difesa della terra), lotta, organizzazione, libero pensiero e libero arbitrio ed etica-estetica. Questo passo avrebbe cambiato non solo il destino della società curda, ma anche quello dell’intera regione; ora, tutto questo, ha riverberi globali. Questo è stato il dialogo storico, filosofico e pratico tra Abdullah Öcalan e Sakine Cansız.
Dopo la formazione presso l’accademia dei quadri, Sakine (compagna Sara) è tornata nel 1998 all’accademia Mahsum Korkmaz. Dopo un nuovo dialogo e un’analisi sociologica con Öcalan, ha spostato la sua lotta in Europa, dove ha continuato il lavoro organizzativo e ha aperto un fronte più ampio nel lavoro. Ha compiuto passi significativi sia tra gli amici del popolo curdo che nella lotta diplomatica. Nel 2018, durante il nostro primo campo di Jineolojî a Bilbao, nei Paesi Baschi, abbiamo scoperto che Sakine è stata la prima donna curda a visitare Bilbao al suo arrivo in Europa nel 1998, incontrando le donne basche. Le donne attiviste e le accademiche basche hanno notato la forte personalità e l’ampio orizzonte intellettuale di Sakine.
Ogni volta che Sakine visitava una casa, lasciava un ricordo potente e influenzava notevolmente lo sviluppo dello spirito patriottico. Ha costruito relazioni di compagnerismo non solo con le case curde, ma anche con figure di sinistra, socialiste e internazionaliste, aprendo ampie strade per la lotta, la resistenza e la collaborazione. Ha introdotto persone nuove al Kurdistan e al movimento per la libertà, trovando sostegno per la lotta per la libertà.
Soprattutto dopo la cospirazione internazionale contro Öcalan e la sua prigionia nell’isolamento di İmralı, Sakine ha condotto un lavoro di informazione ed organizzazione paese per paese, spiegando il difficile periodo successivo alla cospirazione all’interno del movimento e della società. In particolare per quanto riguarda il cambiamento di paradigma verso la modernità democratica, che è stato un passo strategico che ha comportato molti rischi. Sakine ha lavorato giorno e notte per mantenere l’unità organizzativa e svolgere il ruolo strategico del Movimento per la libertà delle donne curde nella risoluzione di questioni storiche, fornendo una vera leadership alle donne all’interno del movimento, proteggendo al contempo il movimento e guidando il processo di divulgazione nella società europea della rivoluzione del Kurdistan. Per questo, insieme ad altri quadri dirigenti, ha mantenuto una posizione decisiva in tutti i congressi successivi e nei punti di svolta del movimento. Sakine era molto convinta che si stesse avvicinando una fase cruciale nella lotta per la libertà del Kurdistan. Parlando con sicurezza su Roj TV il 27 ottobre 2008, ha affermato:
“C’è una lotta in corso che sta avanzando. Una lotta che ora è diventata la stessa del popolo curdo. Ha aperto la strada alla libertà per il nostro popolo, ha spianato la strada all’organizzazione e all’unità del popolo curdo ed è diventata il fondamento per l’autodeterminazione del popolo”.
In un’intervista del 2011, pubblicata sulla rivista Nawaya Jin, e rispondendo a una domanda sulle responsabilità delle donne, Sakine ha detto:
“Lottiamo per non diventare le donne che non possono fare altro che piangere, lottiamo per non diventare le donne che vestono di nero e si lamentano del loro dolore, ecco perché siamo sulle montagne… Il dolore e l’oppressione che la società e le donne hanno vissuto nella storia e continuano a sperimentare oggi, riguardano la consapevolezza, la creazione di coscienza, pensiero e prospettiva e mezzi di lotta. Possiamo superare questa situazione solo attraverso un’ampia organizzazione”.
Quando in Europa si sono tenute discussioni sulla creazione di una Fondazione per le donne, è stato suggerito di chiamarla Sakine, proprio come molte istituzioni sono state chiamate Rosa Luxemburg. A quel tempo, Sakine ha detto: “Perché? Stanno progettando di uccidermi?” Evidentemente, ha intuito che coloro che non sono riusciti a eliminarla in prigione o sulle montagne del Kurdistan l’avevano inseguita in Europa.
Nel centro europeo noto per la difesa”diritti umani” e la “democrazia”, sono riusciti nella loro cospirazione contro Sakine. Il 9 gennaio 2013, al Centro culturale curdo sulla strada più trafficata di Parigi, Sakine Cansız (Sara), il membro del Congresso Nazionale del Kurdistan Fidan Doğan (Rojbin) e una donna appartenente al movimento della gioventù curda Leyla Şaylemez (Ronahî) sono state assassinate da un membro dei servizi segreti turchi (MIT). In seguito, l’assassino è morto in una prigione francese in circostanze misteriose, portando alla chiusura del caso. Lo Stato turco fascista ed occupante ha tentato di mettere a tacere la voce delle donne curde e del popolo curdo, attraverso l’assassinio di Sakine e di altre donne pioniere. Il loro obiettivo: sferrare un colpo mortale alla mente ispiratrice di questo movimento. Tuttavia, Sakine è diventata la voce e lo spirito di milioni di persone di fronte ai suoi assassini. Sognava di essere inondata di fiori, quando sarebbe stata accolta come guerrigliera in Kurdistan. Portava con sé il dolore, la sofferenza e la tragedia del suo popolo, trasformandoli in speranza, energia, consapevolezza e organizzazione mentre viaggiava di città in città, di montagna in montagna, di Paese in Paese. Eppure era consapevole che la strada per arrivare alla pace sarebbe stata lunga.
Öcalan valutò questo massacro e disse:
“In realtà, volevano usare questo massacro per impedire i miei sforzi di pace. Cioè, coloro all’interno dello Stato che non vogliono che la questione venga risolta attraverso mezzi democratici, volevano interrompere il processo. La vita di Sakine è un esempio. La libertà delle donne è la lotta di Sakine. Chiederò a tutti di rendere conto a Sakine, e rivelerò questo…”
Fonte: Tawar Magazine
[1] – Documentario di Sarah https://www.youtube.com/watch?v=oLiq0p6T1x4
[2] – Ibid.
[3] – A. Ocalan, Oltre lo Stato, il potere e la violenza.
[4] La parola “apoci” arriva dall’abbreviazione del nome Abdullah, Apo. Apoci è riferito a chi crede nella filosofia di Abdullah Öcalan, il leader del primo gruppo di rivoluzionari del Kurdistan.
[5] Dalal Amed, “Women’s History Lessons in the Kurdistan Freedom Movement”.
[6] Ibid.
[7] Il documentario di Sarah https://www.youtube.com/watch?v=oLiq0p6T1x4.
[8] Butterfly è un film del 1973 sulla vita di un prigioniero, diretto da Franklin J. Schaffner. La sceneggiatura è stata scritta da Dalton Trumbo e Lorenzo Semple Jr. e racconta la storia di un prigioniero francese di nome Henri Charier[9] Abdullah Ocalan, Volume 1 of “Come vivere” (non c’è la traduzione del libro in italiano)
[10] – (Dalal Amed), book “Lessons of Women’s History in the Kurdistan Freedom Movement”.
[11] – Ibid